21/02/2012

Siamo ormai a metà febbraio e pare proprio che la politica regionale abbia scelto di volare basso, molto basso. Una profonda crisi, di natura strutturale, colpisce l’economia anche del Friuli Venezia Giulia con pesanti ricadute sul terreno sociale, ma le stanze del potere continuano ad essere vuote ed i nostri governanti regionali paiono in tutt’altre faccende affacendati. Qualche incursione a Roma del presidente Tondo per ricontrattare con il governo condizioni diverse di compartecipazione del sistema-Friuli Venezia Giulia allo sforzo titanico messo in campo dal governo tecnico; quache sporadica riunione di giunta o di commissione in consiglio tanto per smuovere le acque almeno un po’.
La sensazione che sia iniziata con grandissimo anticipo e grandissime incertezze la corsa  elettorale del 2013 non stenta a farsi strada. La stampa dà conto del dibattito in corso nei partiti maggiori e delle crepe che si vanno aprendo in entrambe le coalizioni, nel centrodestra come nel centrosinistra.
L’impressione è quella di vivere in standby, in attesa di capire la direzione che prenderà il vento del cambiamento. Tutto pare ovattato anche se sarebbe più corretto parlare di stallo.
Da una parte il PD che, anzitempo ed immeritatamente e soprattutto senza fare i conti con le sue contraddizioni, aveva accarezzato la prospettiva di un facile successo elettorale dopo la caduta di Berlusconi; dall’altra il PDL improvvisamente alle prese con una grave crisi di identità causata dalla caduta del padre-padrone e la conseguente fine dell’asse del Nord.
Due partiti che tentano oggi, con la riforma del porcellum, di salvare ad un tempo leadership ed egemonia nei rispettivi campi.
La verità, però, è un’altra e impone a questi due partiti, ma non solo a questi, un deciso cambio di passo ed un deciso cambiamento. Langue la partecipazione, il tesseramento tradizionale è insufficiente (quando non falso), la cinghia di trasmissione non funziona più, i congressi sono ridotti ad una conta per misurare il peso delle correnti ed aggiornare quindi il “Cencelli” mai passato di moda, i giovani continuano ad essere i grandi esclusi dai ruoli-chiave.
Di difficile lettura la situazione, oggi, nel quartier generale berlusconiano: ex AN sulla porta, ex Forza Italia tentati dalla spallata ad una struttura-partito padronale, la difficoltà di sedare gli appetiti dei tanti transfughi e di far convivere anime sin qui unite solo dalla prospettiva di una lunga stagione di potere. Poco importa se fondata sullo scambio, sui favori, sulla somma di interessi, ancorchè legittimi.
Più facile leggere la crisi del PD. Non altrettanto indicarne la soluzione. Dopo quelle di Milano e Cagliari lo scorso anno, la terza sconfitta del Pd alle primarie di Genova ha riaperto una vivace discussione in quel partito sulle ragioni di un risultato che, ormai, non può non essere considerato ben più che un malessere passeggero. Rispetto all’ interpretazione autoconsolatoria di Bersani e dei tanti che hanno indicato nella pluralità di candidati del PD la causa dello smacco – tendendo a minimizzare le ragioni della sconfitta – ha probabilmente ragione Sergio Cofferati quando denuncia che il PD ha perso e perde perchè non viene più percepito e vissuto come fattore di cambiamento e di rinnovamento della politica e del governo. Senza tifare per l’una o l’altra delle interpretazioni un dato di fatto c’è: il PD – e non solo il PD – , ha sottovalutato e continua a sottovalutare l’onda di antipolitica che ha percorso e continua a percorrere il nostro paese. Soprattutto il PD, però, quale maggior partito di opposizione, proprio dai suoi elettori viene ritenuto incapace di far propria la domanda di cambiamento espressa da ampi settori della società.
L’affermazione del candidato di Vendola anche a Genova conferma in maniera inequivocabile l’ampiezza della crisi del rapporto tra PD ed il suo elettorato. Una crisi nemmeno attenuata dalla caduta di Berlusconi e la nascita del Governo Monti.
Appunto, i conti con l’antipolitica vanno fatti fino in fondo, non si possono esorcizzare con annunci destinati a restare lettera morta.  In un anno, infatti, rispetto all’indignazione della gente nei confronti della c.d. “casta” ed alla richiesta che anche la politica faccia la sua parte contro i privilegi e le furberie, a Roma come a Trieste, niente è stato fatto, né dal Pd né dagli altri. Non c’è stato, sinora, alcun cenno di autoriforma. Tanto basta per dire che non sono più sufficienti le operazioni di facciata. Serve un nuovo inizio, una novità vera.
A noi, al movimento civico, proprio perchè espresso da gente che ha a cuore unicamente il suo Paese, la sua regione, la sua comunità prima e oltre ogni appartenenza o gabbia ideologica o di potere, naturalmente collocato sul versante riformatore, oggi interessa capire la novità rappresentata dal progetto di governo proposto dal “tecnico” Monti, l’attualità di un sano e pragmatico moderatismo politico e sociale non lasciandoci  indifferenti la crisi del PD, il partito che avrebbe voluto e dovuto rappresentare il punto di riferimento di un riformismo autenticamente popolare ed europeo.
Forse proprio il confronto-incontro tra questi mondi, distanti per tanti versi ma con una comune visione europea, potrebbe risultare decisivo per scrivere la c.d. terza fase della nostra storia democratica e repubblicana.
In Italia ed in Friuli Venezia Giulia.

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