05/03/2012

Non è un caso se in più editoriali, da qualche tempo, con riferimento alla nostra regione, parliamo della necessità ed urgenza di un nuovo Governo dell’Autonomia. Sarà sfuggito ai più il significato più profondo di questa espressione ma, volutamente , si è deciso di insistere per arrivare, prima o poi, ad un pronunciamento netto e chiaro.
La crisi strutturale che il paese sta attraversando, insieme economica e sociale, sta producendo grandi cambiamenti nel sentire quotidiano della gente ed ogni cosa che presenta il profilo del privilegio diventa insopportabile.
Nel silenzio e nell’incapacità a rispondere della politica, a farlo è stata sinora la c.d. antipolitica. Da qui le violente polemiche sulla “casta” e il suo rinchiudersi nel fortino dei Palazzi in un estremo, maldestro e colpevole tentativo di autodifesa.
Adesso, però, sta succedendo qualcosa che deve farci riflettere e che deve costringerci a mettere in campo, da subito, un’adeguata risposta. Con fatti concreti, non solo con annunci.
Quel qualcosa è il crescere dell’insofferenza nei confronti dell’autonomia speciale di cui godono, con il Friuli Venezia Giulia, altre quattro regioni italiane. Un’insofferenza che sembra aver superato il livello di guardia.
A chi fosse capitato di sintonizzarsi sul primo canale RAI ieri pomeriggio con la trasmissione “L’arena” condotta da Massimo Giletti, la parola “privilegio” riferita agli Statuti di Autonomia di queste regioni non sarà di certo sfuggita. E non saranno sfuggite nemmeno le affermazioni del qualificato parterre composto da Anna Maria Bernini (PDL), Stefano Fassina (PD), Alessandro Sallusti (direttore de Il Giornale), Rosario Trefiletti (presidente Federconsumatori), Piero Sansonetti (già direttore de L’Unità, oggi di Calabria Ora), Emanuele Bonfanti (segretario CISL pensionati).
Il casus belli era rappresentato da una legge della regione Sicilia che ha concesso ai suoi dipendenti la possibilità di anticipare il pensionamento qualora avessero un parente totalmente non autosufficiente da accudire. In sostanza, un’abnorme dilatazione dei benefici previsti dalla legge 104 per tutti gli altri cittadini italiani. Una legge che dal 2008 ad oggi ha raddoppiato il numero dei baby pensionati.
Il caso più clamoroso e che più ha fatto discutere è quello del dirigente regionale Carmelo Russo che, profittando della legge, ha ottenuto la pensione a 47 anni, a 11.000 euro al mese, per accudire il papà infermo. Infermo a tal punto (diciamo noi) da permettergli di accettare poi l’incarico di assessore regionale offertogli dal presidente Lombardo.
Ecco, qualcosa effettivamente non torna ma prendere lo spunto da un episodio vergognoso ed inqualificabile per  sparare nel mucchio proprio non va.
Ci ha pensato Giletti a buttare benzina sul fuoco affermando:”Ha ancora senso parlare di regioni a statuto speciale? Nel 2012 ha ancora senso avere regioni a statuto speciale?”
Le risposte?
Sallusti:”Non ha nessun senso perchè le regioni speciali nascono dopo la guerra e infatti sono le regioni in alto a destra e a sinistra e le due isole”.
Giletti:”Ma si può ragionare sui privilegi di queste regioni?”.
Bernini:”Stiamo già ragionando, ci stiamo incamminando verso un regionalismo spinto o federalismo timido. Con il PD, il Terzo Polo e l’IDV abbiamo fatto provvedimenti, ad esempio col federalismo fiscale, con l’obiettivo di chiudere la forbice tra regioni ordinarie e speciali.”
Fassina:”Col decreto salva-Italia, dei tagli che sono stati fatti, i tagli alle speciali sono stati molto, molto più rilevanti rispetto alle ordinarie”.
Sansonetti:”Sono d’accordo un po’ tutti sul fatto che vanno abolite le regioni a statuto speciale…”.
Giletti:”Che tutti siano d’accordo è una cosa felice, che fa piacere, però il problema è la concretizzazione delle nostre idee. Mi rendo conto che è difficile, non si ha la bacchetta magica…”.
Sansonetti:”Che tutti i guai d’Italia siano colpa della Sicilia è una sonora balla ma che bisogna abolire la regione a statuto speciale è la verità”.
Il lettore converrà che il momento è estremamente delicato, per certi versi preoccupante, a tal punto da esigere una risposta forte e chiara. In termini di governo, di buongoverno dell’Autonomia.
Quello che, a nostro giudizio, oggi in Friuli Venezia Giulia ancora non c’è e che, purtroppo, non pare all’orizzonte.
Il modo con cui il Consiglio regionale ha chiuso il capitolo dei vitalizi e, in genere, dei costi della politica e le anticipazioni su come la Giunta vuole chiudere quello delle Province e della riforma delle autonomie locali sono lì a dimostrarlo.
C’è viceversa bisogno di una politica autorevole e credibile, in grado di ripartire dal basso e di rafforzare il senso di una appartenenza. L’esatto contrario di quello che si è visto sinora e ancora ieri, a Trieste, dove il congresso del PDL ha votato con sole tre astensioni l’ordine del giorno a firma Savino-Marini sulla creazione in regione di due sole province: il Friuli e la Venezia Giulia, ovvero le province di Trieste e Udine. Evidentemente, il verbo leghista comincia a fare breccia.
Sono passati 35 anni dall’incredibile, grande prova di autogoverno offerta dalla regione e dalla nostra gente, in occasione del terremoto, alla comunità nazionale. Sembrano secoli.
Il progetto di Governo dell’Autonomia deve ripartire da lì.
Abbiamo scritto nella newsletter del 29 febbraio:
…ci permettiamo di richiamare tutti al dovere di una concreta proposta per il governo dell’Autonomia del Friuli Venezia Giulia. Sulle cose da fare e solo su queste il movimento civico è disponibile a partecipare ad un tavolo di confronto. Anzi, lo sollecita. Un tavolo senza pregiudiziali e senza ipoteche di chicchessia. Con questo orizzonte proponiamo da subito alcuni temi che porteremmo al tavolo (se qualcuno vorrà aprirlo) per il varo di riforme strutturali quanto mai urgenti:
1. il governo dell’Autonomia e, quindi, del sistema delle autonomie locali;
2. il welfare e il mondo del lavoro;
3. la formazione (dalla scuola alla ricerca, dalla cultura all’università);
4. il credito e gli interventi a sostegno delle nostre imprese;
5. lo sviluppo per accompagnare imprese e famiglie nelle strettoie di una crisi economica e finanziaria che non ammette ritardi o indecisioni.
Altro è il discorso sui c.d. costi della politica per i quali si può lavorare e decidere da subito partendo dalle proposte di legge già depositate, senza concessione alcuna ai c.d. “diritti acquisiti” quando sono tali solo per pochi.
Su queste basi il dialogo può partire, senza pregiudiziali.

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